Preselettive concorso MIBACT: un’esperienza

L’avventura per il tanto famigerato posto come funzionario MIBACT per me finisce qui, alle preselettive.
Ho letto molti commenti, sulla pagina FB del concorso, di gente che vuol dire qualcosa sulla propria esperienza, sia che sia passata sia che invece non ce l’abbia fatta. Ho letto cose che voi umani non potete capire, ai limiti del complottismo che manco la CIA e l’MI5. Siccome a me interessa semplicemente raccontare la mia esperienza a chi vuole avere la pazienza e la voglia di leggere i fatti miei, mi limiterò a farlo sul mio blog – anni fa scrivevo davvero un sacco di cose, qui, e non vedo perché non aggiornarlo raccontando, ogni tanto, qualcosa di me.
Come da incipit, non ho passato le preselettive.
Potrei dire che è tutta colpa del MIBACT e del RIPAM, visto che, oggettivamente, non ho mai visto una cosa così schifosa e degradante; potrei dire che è un’ingiustizia, visto che, in effetti, una preselettiva del genere non dimostra assolutamente se sono capace di essere una brava archivista o bibliotecaria; potrei dire che quelli che sono passati sono dei raccomandati, visto che, signori, siamo in Italia e un bando nel settore non esce da nove anni, e non ci credo manco se viene il Papa in persona a dirmelo, che tra quei 500 che passeranno non ci sia almeno un raccomandato per bando; potrei dire un sacco di cose, insomma, ma non le dirò.
Sì, perché dare la colpa interamente al MIBACT e al RIPAM per il fatto di non essere passata è sbagliato. Non nego che creda fermamente in quello che ho detto su: i test fanno schifo e i raccomandati ci saranno di sicuro.
Solo che conosco alcune di quelle persone che sono passate e no, non sono affatto delle raccomandate, altrimenti lavorerebbero già nel settore. E poi, signori, con tutti i ricorsi che già ci sono, se devono fare qualche imbroglio, lo faranno bene, non certo così allo scoperto. Perciò, sì, ripeto, qualcuno ce ne sarà, ma c’è anche chi, quella preselettiva, l’ha passata studiando sodo.
O meglio, imparando a memoria quei quesiti.
E io no, non ci sono riuscita. Perché? Perché io non sono capace di imparare a memoria senza capire. Ho un’ottima memoria, inutile fare l’ipocrita, ma la memorizzazione sterile, senza logica, non fa per me. Anche a scuola, quando dovevo imparare una poesia, ci riuscivo solo dopo aver capito di che diavolo parlasse. E infatti, almeno da quanto vedo attraverso l’accesso ai dati, le domande che vertevano sull’inglese e sul diritto le ho beccate quasi tutte – tranne quelle in cui dovevo imparare, appunto, a memoria, quale articolo parlava di una tal cosa. Perché ho aperto il manuale e ho studiato diritto, perché, una volta entrati nel lessico, c’è una certa logica e perché, diciamocelo, basta guardarsi intorno e il diritto lo troviamo intorno a noi.
Perciò, sì, la colpa è anche mia, non solo di chi ha organizzato il concorso, se non sono riuscita a imparare a memoria le misure di un quadro oppure l’autore sconosciuto di un’opera ancor più sconosciuta o in che anno è avvenuta una tal cosa tra il 1714, 1715 e 1716. È un mio limite, certo, ma scusate se non me ne vergogno, ma lo accetto come un dato di fatto, una constatazione; piuttosto avrei dovuto vergognarmi di non essere capace di rispondere a una domanda sull’archivistica o sulla biblioteconomia o sul codice dei beni culturali, che ho studiato per ben quattro volte, tra esami e concorsi.

Al di là del concorso in sé, a me, comunque, questa esperienza è piaciuta un sacco.
Quando m’iscrissi, già leggendo l’assegnazione dei punti, la mia fiducia nelle possibilità di rientrare nei 500 era piuttosto bassa. Non importa, mi dissi, almeno mi avvicinerò al diritto amministrativo, che è sempre stato arabo per me, farò una gita a Roma – due, per la precisione! – e, per poter partecipare, sono riuscita a completare l’inventario dell’ENAL su cui lavoravo da cinque anni; inoltre, fu proprio in previsione dell’uscita del concorso che feci l’esame Cambridge a marzo e non a giugno, seguendo il consiglio della mia docente, prendendo un ottimo voto e – perché far finta che non sia così? – risparmiandomi tre mesi di corso (e relativo costo). Non male, insomma.
E poi, il giorno della prova per archivisti fu davvero meraviglioso. Sono davvero felice di aver rivisto alcuni miei compagni della scuola di APD che non vedevo da una vita e risentire altri, anche solo per sapere se avrebbero partecipato al concorso.
Certo, dispiace aver perso tempo e soldi, ma, sì, alla fine di tutto, anche solo per questo, ne è valsa la pena.
In bocca al lupo a chi ce l’ha fatta, quindi: il difficile comincia adesso.

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