Cronache di una servizio civilista Parte Prima: l’epopea di una convocazione

Tutto cominciò più o meno un mese fa.
A quei tempi (concedetemelo, su!) ero una felice donzella impolverata, china su carte faldoni e fascicoli e svolgevo il mio (allora) tirocinio post-laurea (attuale non so cosa: volontariato?). Nei ritagli di tempo facevo finta di studiare presso la Scuola di Archivistica Paleografia e Diplomatica, provavo a imparare il giapponese e racimolavo qualche soldino facendo ripetizioni a due dolcissimi (?) e carinissimi (?) pargoli delle scuole medie. Di notte, invece, mi trasformavo nell’eroina che salvava il Mondo dal Male.
Detto in parole povere: a quel terzo posto alla graduatoria del servizio civile non ci pensavo neanche più.
Quel giorno, ero dunque alle prese con il mio ennesimo faldone e ogni tanto chiacchieravo con Benny – la mia amica e collega di tirocinio (o quello che è). Precisiamo che avevo – e ho – la cattiva abitudine di dimenticare completamente l’esistenza di un mezzo di couinicazione considerato da tutti fondamentale nella vita, quale, appunto, il cellulare; quel giorno, invece, stranamente, l’avevo messo sul tavolo praticamente appena arrivata.
Ed ecco che, ad un certo punto, il tavolo iniziò a vibrare. Confesso che mi ci volle qualche secondo per capire che era il mio cellulare; ma questi sono meri dettagli inutili. Non conoscevo il numero, ma compresi subito che era di Bari.
«Pronto?» chiesi titubante, fuggendo dalla sala studio (io).
«Pronto, mi scusi, lei è la signorina Nunzia?»
«Sì…»
«Salve, chiamo dall’Università di Bari…»
E qual è il primo pensiero che può passare nella mente di una persona che ha terminato l’università ormai da un anno? «Oddio, mi hanno annullato la laurea!» Ovvio, no?
«…la chiamo dall’Ufficio del Servizio Civile Nazionale…»
Per una persona normale, credo che quello sarebbe stato il momento dell’Illuminazione sulla via di Damasco. Invece il primo pensiero della sottoscritta fu un altro: poiché, quando feci domanda per la prima volta, il comune mi fece venire un mezzo infarto mandandomi a casa una lettera per chiedermi se accettavo che una ragazza che voleva fare ricorso accedesse ai miei dati, in quel momento il mio secondo pensiero fu anch’esso molto intelligente e addirittura elegante: «Ma fate che c***o volete con il mio curriculum!»
«…siccome le due candidate prima di lei hanno rinunciato, le interessa ancora fare il servizio civile?»
«….»
Qual è la risposta più intelligente che una persona interpellata su una simile questione potrebbe dare? «Credo di sì…»
«Come crede
E giustamente.
«Mi scusi» cercai di riprendermi io in corner «Questa chiamata non me l’aspettavo proprio!»
Ma no! Non si era capito! Credo di capire perché quelli dell’ufficio si ricordano il mio nome.
Inutile tediarvi sul resto della telefonata: mi fu comunicato che non avrei iniziato subito come gli altri, ma più tardi, ma che mi avrebbero fatto sapere. Chiesi, per cortesia, di saperlo appena possibile, perché volevo poi organizzarmi con il tirocinio in archivio; loro, gentilissimi, mi assicurarono che l’avrebbero fatto.
Siccome so che la cosa vi interessa, sappiate che, quando tornai in sala studio, la domanda di Benny fu «Che è successo?». La mia espressione non l’ho potuta ovviamente vedere, ma riesco perfettamente ad immaginarmela.
Trascorsero così vari giorni senza che mi giungesse alcuna buona nuova: ovviamente andai anche a chiedere alla sede e, nel frattempo, mi organizzai con le cose che stavo facendo: sbolognai lasciai i miei piccoli pargoli nelle amorevoli mani di mia sorella – che, per questo mese, ha fatto lezione con me, a mo’ di tirocinio XD – e intensificai la mia attività in archivio: praticamente fino a venerdì scorso, sono andata tutti i giorni dalle 8.30 alle… a quando i mie occhi non reclamavano pietà, tranne il venerdì santo.
E fu proprio quel giorno – in cui, causa i riti della sera precedente, decisi di non andare in archivio – che mi giunse L’email. Quella in cui mi veniva detto che la mia presa di servizio iniziava il 16 aprile 2012. Cioè oggi.
E non c’è bisogno che vi comunichi quale fu la mia reazione quel giorno: «Così presto? Ma io devo finire in archivio!»
Da martedì 10 in poi la mia giornata è stata costellata da un unico, costante, pensiero: schedare. Ho vissuto di panini e caffè per poter fare più lavoro possibile. Non è servito a niente il fatto che la dirigente dell’archivio di Stato mi abbia detto che posso fare con calma, con i miei tempi, che non c’è fretta e che la mia tutor continuasse a dirmi “Non ti preoccupare!”. Io, almeno questo carico, dovevo finirlo. Era una questione di principio.
Ma il destino avverso ci ha messo più volte lo zampino.
Martedì sera, trovai una mail in cui mi si avvisava di alcuni incontri per il Servizio Civile che si sarebbero tenuti giovedì pomeriggio e venerdì mattina. Incontri che, ovviamente, mi avrebbero distolto dalla mia Missione. Ma poi, valevano anche per me se la mia presa di servizio sarebbe stata dopo? Onde evitare perdite di tempo, chiesi informazioni e, fortunatamente, mi venne detto che no, potevo anche non andare, potevano vivere benissimo senza di me. E, mi spiace dirlo, non ci andai.
Pensai che, superata la Prova del fato, con il ritmo che avevo, sicuramente entro venerdì avrei finito.
E invece no. Ancora una volta il Destino mi era avverso.
Giovedì sera, infatti, ricevetti un’altra email nella quale mi si comunicava che sarebbe stato preferibile avere entro il giorno della presa di servizio il codice IBAN della banca. Peccato che io non avevo codice IBAN, perché non avevo ancora il conto corrente. Ok, “preferibile” non vuol dire obbligo, ma poi, quando avrei avuto tempo di andare in seguito? Meglio togliersi il dente e via il dolore. E così, a due faldoni dalla fine, a malincuore, tornai a casa per espletare queste formalità.
Ah, a proposito: non sapevo che la banca permettesse di depositare soldi dalle macchinette ATM. Quando mi è stato riferito, i miei occhi sbrilluccicavano dalla gioia, neanche mi avessero detto che ero stata assunta a tempo indeterminato: le immagini delle mie infinite code in Posta, per depositare soldi, erano ancora troppo vivide nella mia mente, per non sconvolgermi.

Com’è stato iniziare il servizio civile in una biblioteca in cui ho per lo più richiesto libri per la tesi e nell’università in cui mi sono laureata?
Strano.
È stato strano risalire quei gradini non per studiare, ma per lavorare in un luogo che, checché se ne possa dire – e checché IO ne possa dire – ho amato molto e continuo ad amare. E che mi manca da morire.
Mi hanno detto un sacco di cose, oggi. Parecchie non le ricordo più, infatti sono già armata di carta e penna per organizzarmi al meglio. Ho anche iniziato a fare le prime digitalizzazioni – un microfilm e un libro – e ho aiutato un’utente. Sono soddisfazioni! XD Certo, se riuscissi a non litigare con la macchinetta antitaccheggio e con la chiave del bagno (!) sarei molto più felice, ma per questo ci stiamo attrezzando.
Qualcuno potrebbe pensare che, a questo punto, dovrebbe troneggiare il classico “The end” (almeno per oggi) da “vissero tutti felici e contenti”.
E invece no.
La mia fissazione sugli ultimi due famosi faldoni ha continuato a perseguitarmi ancora: mentre ero a cena da Corimma sabato sera, al Levantecon ieri, mentre digitalizzavo oggi (lo so che state pensando «Ma non avevi un cavolo da fare? Come potete vedere… sì!»…
Dovevo terminarli. Dovevo!
Il Destino, stavolta, è accorso in mio aiuto. Poiché oggi ho terminato alle 14, ho potuto fare un salto in archivio. Come avevo immaginato, se fossi rimasta due ore in più come facevo di solito ce l’avrei fatta: ci ho messo esattamente due ore e quindici minuti per terminare il tutto, compresa la breve pausa di cinque minuti.

E da domani?
Da domani si vedrà. E sarà quel che sarà. Dovrò imparare un sacco di cose, ma non mi spaventa: quando iniziai il tirocinio in archivio di Stato, ero perplessa, perché gli archivi non mi sono mai piaciuti tanto come le biblioteche; eppure, mi sono ricreduta e ho iniziato ad amare il fondo che sto schedando (fondo di cui un giorno, quando avrò trovato le risposte che cerchiamo, vi narrerò le vicende – non fate quelle facce, eh! Sappiate che persino Sherlock Holmes lo troverebbe interessante! U_U) e, stando in sala studio, a contatto con gli archivisti, ad apprezzare sempre di più il loro lavoro. Potrei capire, che ne so, che in fondo mi aspettavo cose diverse, oppure che continuo a preferire le biblioteche agli archivi. Certo, ho già fatto altre due esperienze in biblioteca, ma erano luoghi diversi e poco “biblioteche”, senza OPAC, senza vera ricerca, senza veri utenti (per lo più o avvocati che cercavano esiti in Cassazione e ragazzini che volevano leggere)…
E per la scuola di APD e il giapponese, mi chiederete voi? Tranquilli: volere è potere, diceva qualcuno. Basta organizzarsi e tutto andrà bene. O almeno spero.

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