Historia magistra vitae. Forse.

Ormai penso anche i muri sappiano che io do ripetizioni: a ragazzini delle elementari, delle medie e delle superiori, quando mi è capitato. Nella mia carriera di doposcuolista, di studentessa e di figlia di un’insegnante, vi assicuro, ho visto abbastanza, sia da parte dei ragazzi, che dei genitori e che dei docenti, da poter scrivere un libro in proposito.
Ma queste ultime esperienze devo raccontarvele. Perché, beh, meritano.

Tutto inizia quando il mio allievo (non vi dico la scuola che frequenta né la classe; ciò che vi sto per dire, ho saputo che succede anche in altri luoghi. E non è una cosa positiva) per la prima volta mi dice che abbiamo storia da studiare.
«Oh, finalmente qualcosa di interessante!», penso io in quel momento, leggendo “La Prima guerra mondiale” come titolo del paragrafo, dato che, tra gli altri due che frequentano la prima media, i miei studi e la scuola di archivistica ne ho le tasche piene di imperi romani che crollano, invasioni barbariche et similia.
E così, incominciamo a studiare. Al ragazzo la materia non piace per niente, non ci vuole un genio per accorgersene, ma caso vuole che io adori la storia, e quindi mi piace spiegare gli eventi in modo divertente, cosicché lui capisca e io rispolveri un po’ concetti che non tocco da qualche anno.
I giorni passano: finisce la prima guerra mondiale e inizia la rivoluzione russa, argomento che non mi fa proprio impazzire, ma, che ci vogliamo fare, la dobbiamo studiare. Finisce anche la rivoluzione russa e con essa, si torna al quadro generale: la pace di Versailles, i pesanti tributi per la Germania, la vittoria mutilata…
E poi, un giorno.
«Che abbiamo oggi?» chiedo.
«La fascistizzazione della società».
Ci ha messo tre ore a dirmi quella parola così lunga e complessa, ma non è quello il punto; il mio cervello si è soffermato su un altro particolare.
«Cosa?» Ho capito male. Sicuramente.
«La fascistizzazione della società.» ripete.
«Scusa, ma… quand’è che abbiamo studiato il fascismo noi?»
«L’abbiamo saltato. La professoressa dice che siamo indietro.»
«…»
Continuo a fissare il libro per un attimo; lui mi guarda, aspettando che gli dia il via. Gli do l’ok e poi cerco di spiegarli chi diavolo sia questo famoso Mussolini e che diavolo voglia.
«Cos’abbiamo di bello oggi?», gli chiedo qualche giorno dopo.
«L’antisemitismo in Italia.» mi risponde, pronto. Le pagine successive a quelle che avevamo studiato in precedenza. Qualcosa mi prude all’altezza dello stomaco, ma lascio perdere: dopotutto, il programma non lo gestisco io; dopotutto, siamo a gennaio, c’è a giornata della memoria; dopotutto…
Passano i giorni: io mi ammalo, lui ha altri compiti, e storia diventa il mio ultimo pensiero. Trascorre anche la giornata della memoria. Hanno visto un film francese, ma non ricorda il titolo. Me lo dice qualche giorno dopo, ma io intanto l’ho scoperto da sola.
«Train de vie!» lo sorprendo.
Bello, commento. Cioè, non l’ho visto, ma una mia amica mi ha detto che è bello, anche se il final-
«Non abbiamo finito di vederlo, abbiamo visto solo metà.» Mi ferma lui.
Ora, mi spiegate a che serve iniziare a vedere un film su un argomento come la Giornata della Memoria, e lasciarlo morire lì? No, non volevo saperlo. E così: «Allora, che cosa abbiamo oggi?»
«I fascismi in Europa.»
Lì per lì rimango un po’ stranita, ma poi lo esorto a leggere.
«Mentre gli stati europei si stavano riprendendo dalla Grande Depressione…»
No, aspettate. Aspettate.
«Giuseppe, scusa. Sei sicuro che sia questa la pagina?»
Annuisce.
«E sei sicuro che non hai saltato niente?»
Annuisce.
«Giuseppe, ehm… tu sai cos’è la Grande Depressione?»
«…»
Prendo il libro e giro un po’ di pagine. ESATTAMENTE NELLA PAGINA PRECEDENTE si parla della crisi del 1929 e della Grande Depressione. Ormai sicura di quello che troverò, continuo a girare a ritroso le pagine e, finalmente, trovo il capitolo che cercavo: la repubblica di Weimar; la salita al potere di Hitler; la notte dei cristalli.
«Giuseppe, tu sai chi è Hitler?»
«…»
Ovviamente neanche a parlarne di chi siano Roosvelt, Churchill e compagnia. Stiamo scherzando? Francisco Franco, Tito, poi…
Inizio a sentirmi male. Ovvio che ‘sto ragazzo non capisca niente quando legge di nazismo, Grande Depressione e qualsiasi cosa c’entri con il primo dopoguerra!
E così molto, ma molto a grandi linee, gli spiego chi siano questi esimi sconosciuti, che diavolo sia successo nel mondo e perché c’è questa famosa Grande Depressione (la crisi ha portato a un vantaggio: descrivere la situazione è più facile, decisamente); perché, insomma, fra un po’ scoppierà la Seconda Guerra Mondiale.
E se questo vi sembra abbastanza, non avete ancora sentito il resto – perché, sì, c’è un resto!
Sabato, 11 febbraio 2012; Giuseppe esce fuori il libro di storia dallo zaino.
Oddiosantissimochecosaavràoggi? non posso fare a meno di tremare.
«Allora, che abbiamo oggi?»
«L’operazione Barbarossa.»
Ora: sia chiaro che non è che ricordassi esattamente che diavolo fosse questa operazione; o meglio, quando poi ho letto che cosa fosse, ho ricordato la sua esistenza per ovvi motivi, ma non ne ricordavo assolutamente il nome. Però, di una cosa ero certa: c’entrava la seconda guerra mondiale; il problema era capire come.
Gli faccio quindi leggere il primo paragrafo: siamo nel 1941, l’Italia ha invaso la Grecia, Hitler è corso ad aiutarla e poi si è dato alla conquista della Jugoslavia; il 22 giugno, finalmente, attacca l’Armata Rossa, ottenendo le prime vittorie.
«In che anno siamo, quindi?»
«1941»
«E la guerra quando è scoppiata?»
«Nel 1939.»
Rimango veramente, ma veramente sorpresa. «Come lo sai? Cioè, lo sapevi tu, avete letto i paragrafi precedenti o ve l’ha detto la professoressa?»
«No, ce l’ha detto la professoressa come introduzione.»
Oh, meno male! Almeno questo!
«E perché è scoppiata la guerra?»
«…»
«Hai mai sentito parlare di guerra lampo?»
«…»
«Naturalmente tu non hai neanche idea del perché qui dice che “Dopo aver capito che non sarebbe riuscito a conquistare l’Inghilterra”, vero?»
«Ehm…»
«E naturalmente è inutile che ti chieda quando è entrata in guerra l’Italia.» Non era una domanda, la mia.

Ora, io dico. Insegnanti che passate di qui – e che vi ritrovate in questo esempio, ovviamente; ne conosco tantissimi che sanno fare benissimo il proprio lavoro e che lo amano davvero –  io vi capisco. Davvero. Capisco che molti di voi si trovano davanti studenti a cui non frega un cazzo di quello che insegnate, che vi guardano in faccia come per dire «Ma questa qua che vuole?», ragazzi il cui sogno è ormai fare la Velina o partecipare al Grande Fratello per diventare ricchi con il minimo sforzo; capisco che vi sentiate inutili a insegnare un sacco di nozioni a ragazzi che rifiutano tutto perché si annoiano, non vogliono studiare, non capiscono a che diavolo serva tutto questo (l’altro giorno mi è stato detto che l’inglese non serve a niente. Non storia, non geografia: inglese); ragazzi che, alla fine, vogliono restare ignoranti e godono della loro ignoranza e il cui unico interesse è la Playstation o Facebook.
Ma.
Ma tra questi c’è ancora gente che vuole imparare; c’è ancora gente che studia perché, non dico che gli piace (miraggio, ormai), ma che almeno è interessato, è curioso e vuole conoscere quel che succede ed è successo nel mondo. C’è gente che magari vuol diventare qualcuno, che ha sogni veri per il futuro. Che magari vuole diventare anche un attore, ma studiando in un’accademia seria.
È il vostro lavoro; siete pagati per insegnare,  per far crescere le menti che vogliono apprendere, come anche di dare perle ai porci che invece se ne fregano. Siete pagate per farlo. Fatelo!
Qualcuno mi dirà: Tanto lo stipendio lo prendo comunque! Lo so. Vorrei anche dire che prendereste lo stipendio anche se insegnaste la pronuncia della lingua che volete insegnare o se spiegaste la storia come Dio comanda. Anche io sarei pagata comunque, se dicessi ai miei ragazzi solo quello che è scritto nella paginetta e non cercassi di contestualizzare e insegnar loro qualcosa in più. Che magari dimenticheranno dopo dieci minuti, anzi, magari mentre sono seduti lì, di fronte a me (e loro sanno che io so: non serve prenderci in giro). Ma, a ‘sto punto, io mi domando: che diavolo me ne devo fare di tutta questa cultura, di tutti questi libri letti e studiati, se poi quella conoscenza resta solo a me? A che serve se non la metto in pratica in qualche modo, anche insegnandola – anche solo per racimolare qualcosina – a qualcun altro?

E adesso sono proprio curiosa di sapere quale sarà la prossima lezione di storia. Proposte?

2 Risposte a “Historia magistra vitae. Forse.”

  1. E’ che la Storia, in base alla mia esperienza, viene MOLTO spesso trascurata.
    Ai licei, “Filosofia è più importante” (o quantomeno abbisogna di più spiegazioni; Storia se la possono studiar da soli).
    Alle medie, “Storia e Geografia tolgono il tempo a Italiano e Grammatica” (e se l’alternativa è spiegargli il congiuntivo o spiegargli i Visigoti… possono anche capire le perplessità dei docenti, al limite).
    E poi, diciamo pure che i programmi ministeriali per la Storia sono completamente FOLLI, ti costringono a correre come un pazzo per buttar lì nell’arco di nove mesi quasi un millennio di avvenimenti. Peraltro, poi ci credo che gli studenti trovano noiosa la storia: ma con questi ritmi, non si riesce neanche a approfondire un minimo, a soffermarsi su un certo argomento quel tanto che basta per suscitare la curiosità dei ragazzi!

    Povera Storia, così bistrattata (come anche altre materie, eh)!

    1. Guarda, l’esempio che ho fatto è quello della storia perché è il più eclatante, ma ogni materia ha i suoi geni. Come una prof di francese (no, tre, diverse, di tre scuole diverse) che non insegna la pronuncia ai ragazzi.
      Da una parte sono d’accordo con quel che dici, perché effettivamente i programmi fanno schifo così come sono adesso, ma conosco anche ragazzi che la fanno BENE, perché i docenti la sanno insegnare. Oddio, magari saltano cose, ma non in questo modo osceno.
      Quanto all’interesse, io non ho mai capito come possa non interessare una materia con tante guerre e morti meglio di un film d’avventura, quindi spesso immagino che il disinteresse sia dovuto proprio a certe spiegazioni che non si possono sentire e alle corse dei docenti, come dici tu. Però c’è da dire che a molti ragazzi non interessa proprio NIENTE della scuola: “Fa schifo”, “è brutto”, non serve a niente” sono le classiche frasi che sento per qualsiasi materia.
      Se uniamo tutte ‘ste cose – disinteresse (dovuto alle cause più diverse, tra famiglia che non sa o non vuole più educare, TV, videogiochi, età), programmi che non ti permettono di interessarti, insegnanti che non sanno fare il proprio mestiere (conosco laureati in lettere e prof che scrivo qual’è, pò et similia!) – alla fine è ovvio che gli studenti sono delle capre oggigiorno.

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